In tempi di adattamento al cambiamento climatico e di transizione ecologica assume particolare rilievo la ricerca di fonti energetiche rinnovabili ed endogene. Il contributo di Agostino Cappuccio si concentra sul tema della geotermia, delle sue attuali potenzialità e della pesante contraddizione tutta italiana tra un passato pioneristico glorioso e un presente di stagnazione, alimentata anche da una diffusa ostilità generata da più o meno immotivate fobie.
L’Italia è l’unico paese del G7 non ancora dotato di una strategia complessiva della sicurezza nazionale (SSN) e di un sistema istituzionale di raccordo, preposto a definirlo ed attuarlo. Più in generale, l’assenza di politiche di ampio orizzonte temporale, di cui la mancanza di un sistema di sicurezza nazionale è sintomo, determina accumulo di divario in diversi settori a livello internazionale e in particolare rispetto ad altri Paesi europei. Settori come quello energetico e quello idrico incidono in modo determinante sulla nostra competitività e, sicuramente, sulla sicurezza nazionale. La nostra sicurezza energetica ha un imponente fattore di debolezza nella dipendenza da forniture estere e, conseguentemente, la prima leva di contrasto con la quale agire dovrebbe essere quella del recupero e della valorizzazione di ogni pur minima risorsa interna. Ci sono stati periodi in cui la copertura del fabbisogno energetico era al vertice delle questioni nazionali e la strategia di chi doveva provvedere era orientata ad assicurare la massima indipendenza energetica del Paese. Il professore Felice Ippolito, napoletano, fu tra i protagonisti di quella stagione e di quelle vicende. Guidò il CNEN, l’organismo che doveva sviluppare l’uso dell’energia nucleare in Italia ma, per le sue posizioni, mal gliene incolse. Incontrandolo neglia anni ’80, tentai di chiedergli qualche chiarimento sulla vicenda che lo aveva coinvolto anni prima e che aveva segnato l’appannamento del suo disegno oltre che il suo destino personale. Come risposta alla mia insistenza pronunciò queste parole a mo’ di sentenza: “Mio giovane amico, in questo paese accadono cose che, pur volendo, riesce molto difficile spiegare”. Già a quell’epoca, il piano nucleare in Italia aveva perso ogni potenzialità strategica: altri interessi, diversi da quelli nazionali, erano prevalsi ma Ippolito, sempre, gettando lo sguardo in prospettiva ricordava che anche di altre potenzialità l’Italia avrebbe potuto giovarsi. Noi, però – diceva il professore – qui, in Campania, sotto i nostri piedi, abbiamo la potenza di almeno due centrali nucleari: la forza della geotermia, largamente diffusa anche in altre zone d’Italia. È questa fonte che dobbiamo coltivare, ma nessuno lo fa. La geotermia, il calore generato e immagazzinato all’interno del nostro pianeta, è a disposizione del genere umano che ne ha beneficiato sin dagli albori della civiltà. Energia inesauribile, rinnovabile, continua ed ovunque utilizzabile, sia per usi termici che per la produzione di energia elettrica. Eppure, l’elettricità da fonte geotermica è stata prodotta per la prima volta in Italia! L’Italia è stato il primo paese al mondo ad utilizzare la geotermia per la produzione di energia elettrica. A Larderello già nel 1904 inizia una fase sperimentale e dal 1913 i primi impianti vengono collegati alla rete elettrica. Soltanto dalla fine degli anni ’50, simili impianti di produzione geotermoelettrica sorsero in altre parti del mondo: in Nuova Zelanda (Wairakei), e poi negli anni ’60 in USA (the Geysers, California). Il nostro Paese, leader assoluto della tecnologia geotermica per mezzo secolo, è stato superato poi dagli USA, a partire dagli anni ’60, con i grandi impianti nell’area di ‘The Geyser’. Purtroppo, negli ultimi decenni, a fronte di un grande sviluppo della geotermia per la produzione elettrica in diverse parti del mondo, la produzione Italiana è rimasta confinata nell’area toscana Larderello-Amiata, perdendo via via posizioni. Particolarmente significativo è il caso della Turchia che, da una produzione geotermoelettrica pari a zero, in un decennio ha superato quella italiana. Oggi gli utilizzatori di questa preziosa risorsa, in ogni parte del mondo, si avvalgono spesso di know-how italiano e le nostre imprese che operano nel settore realizzano i loro impianti all’estero! Principali paesi utilizzatori della risorsa geotermica – per calore e/o elettricità – risultano essere USA, Indonesia, Filippine, Turchia, Nuova Zelanda, Messico, Italia, Kenia, Islanda, Giappone ... Preziose sono le peculiarità che rendono la risorsa geotermica estremamente strategica, unica nel panorama energetico: la grande varietà di applicazioni, l’enorme variabilità delle potenze utilizzabili e la possibilità di impiegare fluidi del sottosuolo a qualsiasi temperatura. E, caratteristica fondamentale che la distingue nettamente dalle altre fonti rinnovabili più note, quali solare ed eolico, è la continuità e la costanza di erogazione, fondamentale nella produzione elettrica perché consente di utilizzare l’energia geotermoelettrica per alimentare i carichi di base. Il gradiente medio della terra è di 25-30 °C/km. Poiché oggi è possibile eseguire abbastanza facilmente perforazioni fino a 5 – 6 km, si possono quasi ovunque raggiungere temperature di circa 150 °C, ottimali per la produzione elettrica, oltre che termica, purchè le rocce siano permeabili e ci sia, quindi, disponibilità di acqua. Ma in condizioni favorevoli e principalmente in aree vulcaniche, si possono trovare temperature prossime ai 200°C anche a poche centinaia di metri di profondità. Aree con simili caratteristiche esistono in diverse parti: oltre all’Italia, l’Islanda, la Nuova Zelanda, l’Indonesia, le Filippine, il Giappone, gli USA godono di queste condizioni. Gli Stati Uniti hanno la maggiore potenza da fonte geotermica installata (3,7 Gw) e l’Islanda preleva il fluido geotermico più caldo (452°C) iniettando acqua a circa 2 km di profondità. In diverse parti d’Europa – e nemmeno tra le più favorite - sono in funzione impianti geotermoelettrici di piccola taglia che utilizzano il fluido geotermico prelevandolo alla profondità di alcuni chilometri (3 – 5 km). In Germania, nella zona di Monaco di Baviera, il fluido – a temperatura tra i 40 e i 160 °C – viene prelevato tra i 3mila e i 5mila metri per alimentare reti di teleriscaldamento e per produrre elettricità. A Parigi, le acque, che non superano la temperatura di 90°C, sono prelevate ad una profondità tra i 1600 e i 1800 metri ed alimentano il maggior numero al mondo di centrali a media-bassa temperatura, per la produzione di calore. Le aree della nostra Penisola di prioritario interesse per l’utilizzo di risorse atte a produrre energia elettrica si trovano nella fascia pre-appenninica tosco-laziale-campana, nelle due isole maggiori, nelle isole vulcaniche del Tirreno, ed in alcuni settori della Pianura Padana, della fascia peri-adriatica e della Fossa Bradanica. Qui si trovano le risorse a temperatura più alta (>90 °C) fino a 5 km di profondità. Le risorse di medio-bassa temperatura (< 80-90 °C) adatte per innumerevoli usi diretti si trovano, oltre che in quelle ad alto flusso di calore sopra menzionate, in molte altre zone del territorio nazionale. È appena opportuno aggiungere che, con l’uso di pompe di calore geotermiche, possono essere utilizzate anche risorse ipotermali (< 30 °C), che esistono dappertutto, pure a piccola profondità. A Ferrara dal 1990, è attivo un sistema tra i più importanti nel nostro paese per il riscaldamento con distribuzione di calore da fonti geotermiche. La profondità di prelievo del fluido, alla temperatura di circa 100 °C, è notevolmente inferiore rispetto a quella ritenuta “normale” in altre parti del mondo: da 1.100 metri (pozzo Casaglia 1) a 1.960 metri (pozzo Casaglia 2). Da recenti studi nel solo bacino della Pianura Padana sono stati individuati 100 siti di possibili installazioni geotermiche, potenzialmente in grado di ridurre il consumo di gas italiano di oltre 9,6 miliardi di metri cubi (fino al 15% del consumo nazionale) e di diminuire le emissioni di CO2 nell’atmosfera di oltre 17 milioni di tonnellate nel solo nord Italia, ad oggi tra le aree più inquinate d’Europa. Tra le aree italiane più ricche di risorse geotermiche già dagli anni ’30 del secolo scorso risultavano comprese quelle vulcaniche napoletane, in particolare Campi Flegrei ed Ischia. L’interesse per i vulcani napoletani si riaccese dopo il conflitto arabo-israeliano del 1973, che fece per la prima volta schizzare in alto i prezzi del petrolio. Il governo, all’epoca, ordinò ad ENI ed ENEL, allora compagnie statali, una nuova campagna di esplorazioni geotermiche nei Campi Flegrei, finalizzata all’installazione in quell’area di nuovi impianti. Di nuovo si verificò l’esistenza di risorse ingenti ma nuovamente i progetti geotermici furono abbandonati in quanto l’Italia aveva nel frattempo varato un piano nucleare naufragato poi nel 1986 dopo il disastro di Chernobyl. Secondo studi ripetuti il potenziale geotermico dei Campi Flegrei e di Ischia sarebbe di almeno 17 Gigawatt di potenza termica, ovvero almeno 1,7 Gigawatt di potenza elettrica, pari alla potenza elettrica di due centrali nucleari medio-grandi. Tale potenziale, prudenzialmente stimato, indica che – da sole – queste due aree posseggono risorse comparabili o maggiori di quelle toscane. Sebbene non sia ipotizzabile sfruttare interamente la potenza geotermica in aree densamente urbanizzate – come quella napoletana -, la tecnologia attuale consente di applicare un modello di generazione elettrica diffusa con impianti di mini e micro generazione perfettamente inseribili anche in gran numero in contesti urbanizzati grazie al bassissimo impatto ambientale. Anche il semplice utilizzo delle risorse di bassa entalpia per il riscaldamento diretto o con pompe di calore, nella zona flegrea potrebbe dare risultati straordinari. Nell’intera area tra Napoli e Pozzuoli si possono trovare, entro profondità di 200 metri, risorse a temperatura tra 30 °C e 100°C per l’utilizzo diretto del calore (riscaldamento per usi industriali e agricoli), o impiegando pompe di calore. Si può immaginare tutta la zona tra Napoli e Pozzuoli completamente libera dall’uso del gas per riscaldamento. Ad oggi, in Italia, dalla geotermia arriva circa il 2 % della produzione nazionale di elettricità e poco più dell’1% del consumo di calore da fonti rinnovabili. Entro pochi anni l’energia geotermica pulita potrebbe arrivare a coprire anche il 30% del fabbisogno termico nazionale. Ampliando il quadro d’osservazione a tutti i possibili usi diretti (riscaldamento urbano, termalismo, usi terapeutici, coltivazioni in serre …) il potenziale risulta ancora maggiore. Dalla geotermia a emissioni nulle si stima potrebbe arrivare il 10% della produzione elettrica italiana al 2050. La geotermia ha caratteristiche e potenzialità per essere chiave della transizione energetica. In Europa potrebbe contribuire a soddisfare il 10% dei consumi elettrici e più del 25% dei consumi termici. Va inoltre considerato che nel nostro paese il sottosuolo, caratterizzato da una inesauribile produzione di calore naturale legato alla giovane evoluzione geodinamica, rende possibile anche l’estrazione di minerali strategici dai fluidi geotermici. Con una quota pari al 58,3% di risorse importate dall’estero il percorso europeo verso l’indipendenza e la sicurezza energetica appare, nel breve termine, ancora molto impegnativo. E, nello scenario europeo, l’Italia è purtroppo caratterizzata dalla più alta percentuale di dipendenza dall’estero, pari al 74,8%, a differenza della Francia che, anche tramite il nucleare, può vantare la quota più bassa pari al 44,8%. Mentre, ovunque nel mondo, la moderna geotermia procede allo sviluppo di progetti che prevedono l’utilizzo delle sorgenti idrotermali naturali (ossia dei fluidi geotermici naturalmente presenti nel sottosuolo), in talune aree – anche europee - si valuta pure l’approccio alla geotermia ‘stimolata’ in rocce calde secche perché ritenuta sostenibile e scevra da rischi particolari. In Italia, però, specialmente in anni recenti si è assistito talvolta a episodi di rigetto collettivo della geotermia, ritenendone l’utilizzo possibile causa scatenante di sconvolgimenti vari. Questo stato d’animo appare diffuso nonostante l’Italia abbia la più lunga esperienza al mondo di realizzazione ed esercizio di impianti geotermici, anche di grande taglia, nelle aree toscane, dove l’energia elettrica prodotta da oltre un secolo non ha mai fatto registrare alcun problema di sismicità rilevante. In passato gli impianti toscani sono stati anche oggetto di proteste da parte delle comunità del Monte Amiata per l’inquinamento dovuto allo scarico in aria dei fluidi geotermici. Per tale motivo, da alcuni decenni l’ENEL, titolare degli impianti, li ha dotati di un sistema (AMIS: Arsenico, Mercurio, Idrogeno Solforato), capace di filtrare questi elementi inquinanti, presenti in abbondanza nei fluidi dell’Amiata, per evitarne il rilascio in atmosfera. Gli impianti attuali, rimandando i fluidi geotermici nel serbatoio di partenza dopo l’estrazione del calore, non producono emissioni e preservano la naturale pressione nei serbatoi geotermici, rendendo perfettamente sostenibile l’uso della risorsa. Nelle aree vulcaniche di Campi Flegrei ed Ischia, dove la risorsa geotermica a media-alta temperatura si trova a profondità minime, rischi di cantiere e costi di perforazione sono da considerare molto bassi. Prendendo ad esempio il pozzo sperimentale realizzato ad Agnano, che a soli 88 metri di profondità intercetta fluidi ad oltre 110°C (progetto Geogrid – INGV/OV), è evidente che rischi di realizzazione di impianti e di onere economico sono straordinariamente contenuti: queste profondità sono quasi comparabili con quelle delle fondazioni di edifici, di cui l’area è piena. Ed infatti sia nei Campi Flegrei che ad Ischia i privati utilizzano il calore prelevato a profondità da poche decine a qualche centinaio di metri per attività idrotermali secondo una pratica consueta, senza che ciò generi la minima apprensione nelle comunità locali, anche quando i pozzi vengono perforati con metodi lontani dal ‘gold standard’ geotermico. Ma l’allerta – spontanea o indotta - si innalza di livello quando ci si accosta anche soltanto in ipotesi ad impieghi geotermici. E così, per paradosso, questo patrimonio del territorio, che in qualche modo controbilancia il rischio vulcanico (come già avevano compreso i Greci e i Romani), viene solo in misura marginale utilizzato da utenti privati, in forma molto spesso ‘artigianale’. Mentre gli impianti geotermici a reiniezione totale, specie di taglia medio-piccola (1-10 MW) sono dovunque generalmente accettati, in Italia resta diffuso un atteggiamento di diffidenza. Un importante punto di svolta per la geotermia in Italia avrebbe dovuto essere rappresentato dalla Legge Geotermica (D. Lgs. 22/2010) che ha consentito l’ingresso nel settore geotermico a nuovi operatori industriali, e favorito richieste per permessi di ricerca per impianti che, seppur di modesta potenza unitaria (5 MW elettrici), prevedono l’iniezione totale dei fluidi geotermici nelle stesse formazioni di provenienza e l’assenza di emissioni in atmosfera e quindi ad “emissioni di processo nulle”. Questi impianti occupano spazi piuttosto limitati con un conseguente modesto impatto sul territorio, possono svolgere un ruolo tutt’altro che trascurabile nella generazione distribuita e costituire la soluzione ottimale per zone non connesse, come ad esempio alcune isole ma, soprattutto, rappresentare il primo passo verso un utilizzo più ampio e strategico della fonte geotermica. Risultato indotto dalla Legge Geotermica è la Zonazione geotermica del territorio italiano (marzo 2017) che rappresenta un utile strumento di lavoro per chi approccia questi temi e mostra la grande ricchezza della risorsa geotermica distribuita sull’intera area nazionale. C’è da aggiungere che l’interesse per le rinnovabili e per la transizione ecologica/energetica che ha riportato l’attenzione sulla geotermia, di cui con la nuova Legge Geotermica si attendeva il rilancio già dal 2010, non ha registrato risultati significativi anche per il diffuso basso livello di conoscenza e la scarsa preparazione delle strutture regionali (tranne ovviamente in Toscana, Emilia Romagna,…) che non hanno certo favorito iniziative nel settore mentre, a volte, forze politiche locali hanno cavalcato timori infondati. La grande varietà di risorse geotermiche presenti in Italia, la possibilità di un loro sviluppo in molte e vaste zone del territorio nazionale, sia per produzione di elettricità, sia per usi diretti, fanno del nostro Paese, nell’ambito dell’Unione Europea, il più forte per vocazione geotermica. Il suo grande potenziale dovrebbe essere utilizzato molto più di quanto fatto fino ad ora. Si tratta di risorse sostenibili e rinnovabili sulla scala dei tempi umani e compatibili con l’ambiente. Se, nella prospettiva di un impiego strategico della fonte geotermica, non si può non prevedere anche lunghe e onerose campagne di ricerca che sono richieste dalla realizzazione di impianti di grande taglia esiste, tuttavia, un’ampia disponibilità di progetti geotermici, pronti, da realizzare in breve ma in attesa di autorizzazioni alla perforazione il cui sviluppo è soggetto soltanto ai tempi dell’iter autorizzativo. Se gli incentivi costituiscono il necessario viatico ad un adeguato sviluppo della fonte geotermica, allora occorre rivedere le percentuali finora a sostegno delle fonti rinnovabili non fotovoltaiche per verificare che i fondi dedicati alla geotermia impallidiscono in confronto ai sussidi erogati ogni anno in Italia a sostegno dei combustibili fossili (!). Una correzione certificherebbe la volontà concreta di muoversi su percorsi alternativi. Se: - la decarbonizzazione degli usi elettrici e del calore costituiscono un obiettivo prioritario ed ineludibile; - il traguardo delle emissioni zero nel 2050 continua ad essere percepito come un obiettivo necessario e, perciò, da perseguire - la criticità degli approvvigionamenti energetici è destinata ad acuirsi e, con essa, l’aumento dei costi, l’unica concreta azione di contrasto consiste nel recupero di ogni possibile fonte interna unitamente ad un adeguato Piano strategico che assegni alla geotermia il ruolo che le spetta, non trascurando il (gradito) risultato secondario di ricavare dal processo anche materie strategiche. Una riflessione al riguardo si imporrebbe prima di rincorrerre e impiegare risorse, che forse non abbiamo, per seguire altre strade (nucleare smr, ad esempio). Se la volontà, oltre l’auspicio, è di aprire i cantieri per realizzare i progetti già pronti ed eseguibili, non è il caso di indugiare oltre per dare risposta alla domanda: “ma cosa aspettiamo?”