Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche

DEFLUSSO ECOLOGICO: IL CASO DEL PIEMONTE.

L'articolo di Nicola Stolfi pone in evidenza come dal conflitto Stato-Regione innescato dalla richiesta di abrogazione della norma piemontese sul deflusso ecologico emerga, al di là delle attribuzioni rispettive, una tensione ormai endemica tra le esigenze di protezione dell'ambiente e le rivendicazioni del mondo agricolo e produttivo, in una fase in cui il frequente ripetersi di episodi siccitosi rende oggettivamente più problematica la definizione equilibrata del bilancio idrico di bacino.

Le sorti di quello che era il Deflusso minimo vitale sono complesse e incerte non solo per il fatto formale di aver mutato la titolazione, attualmente Deflusso Ecologico, ma sostanzialmente per la sua concreta applicazione. Mai come in questo caso infatti palese e diffuso risulta il contrasto tra rispetto dell’ambiente e della biodiversità e le esigenze della produzione, specialmente agricola. Ultimo esempio è l’impugnazione da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica dell’articolo 34 della Legge n. 9/2025 del Piemonte – nota come “Legge di Riordino 2025”, riguardante appunto il Deflusso ecologico. Se si può discutere se sia incompatibile con la normativa ambientale nazionale ed europea il dispositivo che ha concesso una semplice proroga dell’applicazione del Deflusso ecologico dal 31 dicembre 2024 alla stessa data del 2026 in tutto il Piemonte, molto più problematico è il secondo comma dello stesso articolo che recita : ”Nei corsi d’acqua a carattere torrentizio, canali o porzioni di essi non classificati fiumi dalla Regione e nei corsi d’acqua classificati come fiumi o tratti di essi caratterizzati da ricorrenti deficit idrici stagionali…. Il deflusso ecologico è calcolato in modo “dinamico” in base alla portata presente nella sezione di derivazione e non può essere eccedente il 30% della portata effettiva medesima.”

In definitiva la norma verrebbe quindi resa più flessibile, a parere dell’autorità regionale, più coerente con la realtà idrografica del Piemonte che vede la preponderanza dei corsi d’acqua a carattere torrentizio e dalla portata discontinua.  

Ai presidenti delle Province viene garantita la copertura legislativa necessaria alla possibilità di concedere le deroghe specifiche.

Il provvedimento è stato introdotto sostanzialmente su pressante sollecitazione delle Organizzazioni professionale agricole e dei Consorzi di bonifica preoccupati della carenza idrica sempre più grave nella regione che sta mettendo a rischio colture di pregio e in particolare le risaie.

A questo punto con una comunicazione formale inviata il 5 agosto 2025, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MaSe) ha richiesto alla Regione Piemonte l’abrogazione in particolare dell’articolo 34 per palese incompatibilità con la normativa ambientale nazionale ed europea.

In proposito la Corte Costituzionale ha stabilito con la  Sentenza 153/19: “Ciò che invece è precluso alle Regioni è di intervenire con legge per escludere o circoscrivere l’ambito di operatività del piano stesso [il piano regionale di tutela delle acque] , giacché ciò comporterebbe l’elusione – totale o parziale – del vincolo della legge statale, espressione della competenza esclusiva in materia di tutela delle acque, funzionale alla garanzia delle esigenze unitarie cui è preordinata la individuazione degli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici”.

Immaginiamo che il provvedimento regionale si sia ispirato all’articolo 4.6 della Direttiva 60/2000 ove si elencano le situazioni e le condizioni nelle quali si può derogare parzialmente dagli obblighi della Direttiva: “Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, in particolare alluvioni violente e siccità prolungate, o in esito a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non costituisce una violazione delle prescrizioni della presente direttiva”.

In proposito può essere utile fare riferimento alla delibera dell’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici dell’Autorità del bacino del Po in occasione della stagione siccitosa del 2022 che, per limitare gli impatti ecologici, sociali ed economici, ha emanato deroghe temporanee del deflusso ecologico. La condizione tassativa secondo la quale tale rimodulazione è stata concessa dall’Osservatorio è stato l’accertamento di un livello di severità idrica media o alta. In quella occasione l’autorizzazione è stata concessa per 50 corsi d’acqua nel distretto padano.

Si tratterebbe di verificare se nel caso specifico ricorrano le precise condizioni stabilite dettagliatamente nell’articolo della Direttiva. Semmai la norma dovrebbe essere applicata caso per caso e non può essere assegnata in modo universale e con una percentuale fissa e calcolata sulla portata istantanea.

Questa controversia Stato-Regione Piemonte dimostra ancora una volta la necessità di arrivare ad una definizione più meditata di deflusso ecologico. Una cosa è certa: in questa disputa non c’è nulla di ideologico, come invece qualcuno sostiene. Si scontrano due posizioni molto concrete: una sostenuta con convinzione soprattutto dalle ONG e dal CIRF molto attente alla salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità; l’altra sostanzialmente dalle Organizzazioni professionali agricole e ANBI preoccupate della progressiva carenza d’acqua che mette a repentaglio colture che necessitano dell’irrigazione.

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